#lastjobs: Italiani alle prese con la riforma del Jobs Act
Sondaggi - lunedì 27 Luglio, 2015
Quando guardiamo al tema del lavoro è come se fossimo affetti da strabismo. Fatichiamo a mettere a fuoco l’oggetto. Non abbiamo le lenti adeguate ad analizzare correttamente il fenomeno. Perseveriamo a utilizzare gli stereotipi del passato. Fuor di metafora, il tema del lavoro e dei suoi cambiamenti (organizzativi e culturali) non è stato più rivisitato in modo complessivo dopo la fine del mito della classe operaia. Il lavoro si è disarticolato, è diventato flessibile, diffuso. Sono mutate profondamente le mansioni e le professioni. Ma anche i significati attribuiti dai soggetti. Tuttavia, ogni volta che, in particolare in Italia, si tocca il tema delle regole del lavoro – com’è accaduto anche con la riforma del Jobs Act – scattano meccanismi difensivi “a prescindere”. Parafrasando il titolo di un famoso libro di Aris Accornero, si potrebbe sostenere che pensiamo ancora al “Lavoro come ideologia” (Mulino, 1981). E quando assume questa connotazione, si creano dei tabù, per definizione intoccabili. Non sono possibili mediazioni: il discorso pubblico sulla riforma, cui abbiamo assistito nei mesi scorsi, spesso è stato un terreno di scontro ideologico, più che un confronto reale di idee. Poco realismo e molta dottrina.
Focalizzati solo sulle regole, si perdono di vista le trasformazioni produttive e, in particolare, il valore assegnato al lavoro. Se assumiamo questo punto di vista, allora scopriremmo che la flessibilità (diversa dalla precarietà), la ricerca di realizzazione personale, l’idea del lavoro vissuto come percorso di crescita professionale più che come posto fisso, sono dimensioni centrali nelle aspirazioni delle persone. Scopriremo che alcuni dei vecchi tabù sul lavoro si sono trasformati. Su questi temi, Community Media Research ha avviato un percorso di ricerca. In questa prima puntata prenderemo in considerazione non solo la conoscenza, ma soprattutto quanto le misure introdotte dal Jobs Act corrispondano anche agli orientamenti della popolazione.
In primo luogo, la riforma sul mercato del lavoro è stata seguita, in modo più o meno approfondito, dal 70,8% degli italiani. Dunque, una riforma il cui impatto ha coinvolto larga parte della popolazione, in particolare la componente maschile e persino i più giovani che, fra tutti, sono quelli che in proporzione maggiore hanno seguito in modo approfondito il tema. Fra i lavoratori, il dibattito sulla riforma ha coinvolto più gli imprenditori (80,2%) e i tecnici (78,9%), meno gli operai (68,4%). Ma è soprattutto fra gli elettori di Centro (87,4%), Centrosinistra (81,0%) e Sinistra (78,4%) che il Jobs Act ha avuto il maggior seguito. Ovvero in quell’area culturale dove il tema del lavoro costituisce un aspetto identitario radicato.
In secondo luogo, le opinioni della popolazione si polarizzano quando si valuta chi sarebbe avvantaggiato dall’attuazione del Jobs Act. Da un lato, poco più di un terzo (37,3%) ritiene che sia egualmente vantaggiosa per le imprese e per i lavoratori. Dall’altro, una quota di poco inferiore (33,6%) pensa che avvantaggi soprattutto le aziende. Ciò che è certo è che pochi la percepiscono svantaggiosa per tutti (9,2%) e, ancor meno, favorevole solo per i lavoratori (3,0%). Quindi, una (leggera) maggioranza intravede benefici per entrambe le parti in causa. Come a dire che la riforma costituisce un buon punto di mediazione fra interessi diversi. Ma l’opinione pubblica, posta di fronte alla scelta se il Jobs Act sia positivo più per le imprese o per i lavoratori, sceglie le prime. Analizzando le condizioni professionali, fra gli imprenditori prevale chi vede vantaggi egualmente distribuiti (46,9%). Fra i dirigenti e i tecnici, invece, la bilancia dei benefici si equipara (38,4% per tutti; 37,6% per le imprese); mentre fra gli operai pende a favore delle imprese (38,2%) più che per tutti (32,0%). Ma sono le collocazioni politiche a dividere maggiormente. Una visione favorevole solo per le imprese accomuna prevalentemente gli elettori delle due ali estreme dello schieramento politico (Destra: 29,5%; Sinistra: 51,6%), così come anche una visione totalmente negativa del Jobs Act (Destra: 21,1%; Sinistra: 7,3%). Viceversa, i favorevoli a un’equa distribuzione di vantaggi sono gli elettori di Centro (61,6%) e di Centrosinistra (52,6%). Così, gli elettori di Destra/Centrodestra, che però meno di altri conoscono la riforma, prevedono ricadute negative per tutti o al più favorevoli solo alle imprese. Viceversa, nel campo della Sinistra/Centrosinistra il Jobs Act è divisivo, polarizza gli animi fra chi vede vantaggi per tutti (Centrosinistra) e chi solo per le imprese (Sinistra). Dunque, sono ancora le appartenenze politico-culturali a discriminare gli orientamenti sul lavoro.
Proprio per aggirare la vischiosità di un approccio ideologico o pregiudizievole, agli interpellati sono state poste alcune affermazioni che, nei fatti, traducono le misure del Jobs Act (quelle più controverse) senza però farne esplicita menzione. Con l’obiettivo di catturare se e in che misura vi fosse coerenza fra gli orientamenti della popolazione e le riforme approvate. In generale, mediamente oltre il 75% approva che si possa cambiare mansione pur di mantenere il lavoro (77,5%), che vi siano tutele crescenti con un’assunzione a tempo indeterminato (76,3%), che in caso di licenziamento sia meglio ricevere un indennizzo economico, piuttosto che essere reintegrati nello stesso posto di lavoro (77,5%). Cambio di mansione, tutele crescenti, superamento dell’articolo 18 non appaiono più un tabù. Sommando i punteggi ottenuti dalle diverse risposte è possibile creare una misura di sintesi degli orientamenti (impliciti) verso il Jobs Act, cui aderisce in linea di principio oltre l’80% degli italiani. Il gruppo prevalente è degli “Inclini al JAct” (51,4%) ovvero di chi approva quasi tutte le misure introdotte. Sono seguiti dagli “YES JAct” (29,4%) i quali le approvano in toto. All’opposto, il 17,1% valuta in modo prevalentemente negativo la riforma (Restii al JAct) e solo il 2,1% è totalmente contrario (NO JAct). Va sottolineato come fra quest’ultimi si trovino soprattutto i collocati politicamente a Sinistra (36,7%), ma nel contempo ben il 63,3% fra questi sia in generale d’accordo con le riforme approvate del Jobs Act.
Sui temi del lavoro grava ancora un’ingessatura culturale che impedisce una discussione pragmatica. Che affronti i problemi reali senza per questo negare il valore e la dignità del lavoro. Perché nel frattempo, il mondo della produzione è cambiato e con esso gli orientamenti dei lavoratori. Ma non altrettanto sembrano aver fatto le culture politiche. E il Jobs Act interpreta le tensioni al cambiamento della popolazione ben più di quanto le discussioni pubbliche lascino intendere.
Daniele Marini