#Lastitaly. Si vive meglio in Italia o all’estero?


Osservatori - lunedì 25 Luglio, 2016

Viviamo in un grande condominio globale. Le nuove tecnologie della comunicazione, nel breve volgere di alcuni anni, ci hanno spalancato le porte al mondo. Grazie alla televisione prima e poi, soprattutto, a internet possiamo vedere qualsiasi angolo del mondo, anche in tempo reale. Non esistono musei, spiagge, montagne che non possiamo visionare su uno schermo di computer o di smartphone. Anzi, noi stessi contribuiamo con foto e video postati nei social network ad aumentare le possibilità di avvicinarci – almeno virtualmente – a territori e a realtà. Se a questo aggiungiamo lo sviluppo dei mezzi di trasporto che consente di raggiungere, ormai in uno spazio di tempo relativamente breve, anche luoghi un tempo molto lontani, possiamo comprendere come lo spazio e il tempo siano due dimensioni che si sono ristrette, accorciate. Al punto che, paradossalmente, non ci servono più 80 giorni per fare il giro del mondo, ma potremmo realizzarlo in una giornata e stando comodamente seduti a casa.

 

signora al pc

La Stampa p.15, 25 luglio 2016

Fra le conseguenze di simili fenomeni, c’è un aumento esponenziale delle nostre possibilità di comparazione, più o meno fondate razionalmente. Assai più d’un tempo, grazie a un’esperienza vissuta direttamente oppure indirettamente grazie alle nuove tecnologie o a quanto riportato da parenti e conoscenti, abbiamo la possibilità di confrontare il nostro modo di vivere con quello di altri. Possiamo paragonare il nostro contesto di vita con chi vive in realtà diverse. E costruire una rappresentazione, un’idea, fare un raffronto. Ne deriva una sorta di classifica del nostro senso di appartenenza e sul “ben-vivere”, dove collochiamo il nostro Paese rispetto ad altri. Spesso nelle discussioni private e nel dibattito pubblico si avverte un sentimento critico verso l’Italia, si guarda altrove come modelli di vita, di organizzazione statuale. Mancando un senso forte di identità nazionale, riteniamo che in altri Paesi le cose funzionino e si viva meglio. Non solo siamo afflitti da forme superficiali di “benaltrismo”, per cui c’è sempre qualcos’altro di meglio e di più urgente da fare, e in questo modo nulla muta. Ma potremmo coniare il neologismo dell’“altrovismo”: nella vulgata pubblica e nei mezzi di comunicazione, sembra prevalere l’esistenza di un luogo altro dove le cose procedono meglio, dove si sta più soddisfacentemente. La fuga dei cervelli, i pensionati che vanno vivere all’estero, imprese che delocalizzano: tutti fenomeni evidenziati come indicatori di un’Italia in declino. Senza nulla voler togliere alla problematicità di simili eventi, prevale effettivamente l’immagine di un paese che è peggiore di altri?

La ricerca svolta ha esplorato il sentiment della popolazione su questi argomenti. Abbiamo proposto una lista di Paesi chiedendo agli intervistati di esprimere l’opinione se, rispetto all’Italia, lì si vivesse meglio, peggio o nello stesso modo. Su 8 nazioni, ben 4 ottengono una valutazione più lusinghiera rispetto al risiedere in Italia: su tutte prevale la Svizzera (81,7%), seguita da Australia (72,1%), Germania (69,2%) e Gran Bretagna (51,0%). Come si può osservare, si tratta di nazioni che, per diversi ordini di ragioni, hanno la reputazione di essere efficienti e funzionali. Di essere governate. Va sottolineato come la Gran Bretagna (15,8%) sia, in questo gruppo, la nazione che ottiene il punteggio più elevato fra quelle ritenute avere un livello peggiore di vita rispetto all’Italia. A questo si accoda un secondo gruppo di Paesi in cui le condizioni generali risultano più simili all’Italia, come Francia (58,0%) e Spagna (57,7%). Gli USA sono la nazione che polarizza maggiormente, in modo quasi eguale, l’opinione fra quanti ritengono si viva meglio (33,4%) o, all’opposto, peggio (29,7%) rispetto al nostro Paese. In questo caso, le origine latine si fanno avvertire e ci fanno accomunare, mentre gli Stati Uniti sono più divisivi nella percezione. Fanalino di coda troviamo la Tunisia, sicura meta per il turismo, ma decisamente non paragonabile al nostro livello di vita (87,9%).

Sommando le diverse opzioni rilevate possiamo individuare un indicatore  di appartenenza da cui scaturiscono tre profili. Il gruppo prevalente è composto dai “cosmopoliti” (52,2%) ovvero da quanti ritengono che negli altri Paesi si viva come in Italia, che le differenze non siano così radicali come si pensa: tutto il mondo è paese. Questo sentiment è avvertito maggiormente dalla componente maschile, al crescere dell’età e da chi risiede nel Centro-Nord. Il secondo gruppo è rappresentato dagli “esterofili” (43,6%), chi ritiene che all’estero si stia meglio che in Italia. Va qui sottolineato come le donne, le generazioni più giovani, gli studenti e chi risiede nel Mezzogiorno si ritrovi maggiormente in questa opinione. Il terzo gruppo è quantitativamente marginale ed è rappresentato dagli “italiani DOC” (4,2%), quanti ritengono che in Italia si viva decisamente meglio che nel resto di tutti gli altri Paesi.

Esce una rappresentazione dell’Italia forse meno sgangherata di quanto solitamente non emerga dalle cronache quotidiane e dall’immaginario collettivo. La possibilità (reale o virtuale che sia) di raffrontare altre realtà permette di soppesare meglio i pro e i contro della vita nelle altre nazioni. E di dare un giusto valore a dove viviamo. Nello stesso tempo, però, va sottolineato l’esistenza cospicua di un “altrovismo”, dell’idea e dell’esperienza che in altri Paesi si viva meglio che in Italia. E ciò che non può non preoccupare è che tale opinione sia diffusa soprattutto fra le giovani generazioni, le donne e chi risiede nelle aree più svantaggiate. Perché non fare nulla per limitare questo “altrovismo” è sperperare le nostre ricchezze, offuscare il futuro dell’Italia.

Daniele Marini

Nota metodologica

Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 22 marzo al 4 aprile 2016 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Quantitas. I rispondenti totali sono stati 1.997 (su 13.287 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,2%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it.