Italiani e religione: in crescita chi non si riconosce in nessuna fede


Osservatori - venerdì 22 Dicembre, 2017

Le festività natalizie fanno scattare in prima istanza, nel discorso mediatico, un meccanismo ormai consolidato: come andranno le spese delle famiglie in regali, cibo e vacanze? Come andranno i consumi?

Non solo a causa delle difficoltà di quest’ultimo decennio, il Natale è annoverato fra gli indicatori dell’andamento dell’economia. La dimensione religiosa della ricorrenza, e non sempre, si declina nell’intimità familiari, nel privato, o confinato alle comunità dei credenti. Eppure, la religiosità, così come l’ideologia politica, costituiva un universo di valori per le persone. Un insieme di norme che contribuiva a guidare l’azione dei singoli. Permetteva la costruzione di un senso comune in cui identificarsi e conformarsi. Offriva un fine, un obiettivo condiviso per la costruzione della società e del suo futuro. In altri termini, religiosità e ideologie erano le narrazioni delle comunità che (e di come) si sarebbero dovute costruire. L’uso dei verbi al passato non è casuale. Perché da tempo tali pilastri hanno perso la loro valenza. La dimensione religiosa è attraversata da tensioni profonde, e non da oggi. Già all’inizio degli anni ’60, il sociologo Sabino Acquaviva evidenziò una “eclissi del sacro” nelle nostre società e l’affievolirsi del trascendente nella vita quotidiana delle persone. All’orizzonte comune dei valori religiosi di riferimento, si è progressivamente sostituita una loro declinazione individuale che oggi definiremmo tailor made, dove ognuno ritaglia su di sé la morale religiosa in una sorta di “fai-da-te”. Tant’è che siamo in presenza di “un singolare pluralismo” morale e religioso, così come definito da una ricerca curata da Garelli, Guizzardi e Pace (Mulino) nel 2000.

A distanza di quasi 20 anni da quell’indagine, sono ancora mutate la religiosità e la spiritualità degli italiani? Community Media Research ha ripercorso alcuni dei temi sugli orientamenti religiosi degli italiani. Pur con tutte le cautele del caso dovute alla brevità di un sondaggio, tuttavia il raffronto con quanto rilevato all’inizio del secolo evidenzia come i processi di trasformazione allora rilevati si siano approfonditi. E, in generale, la società italiana mostri evidenti segni di una progressiva erosione della dimensione del sacro. Le dichiarazioni di appartenenza religiosa raccontano che la maggioranza della popolazione italiana si dichiara ancora oggi cattolica (60,1%). Largamente minoritari sono quanti appartengono ad altre famiglie religiose (dagli islamici, ai buddisti, dagli ebrei alle altre cristiane o non cristiane: complessivamente il 6,5%). Per contro, un italiano su tre (33,4%) non sente di appartenere ad alcuna confessione religiosa.

Fin qui, dunque, l’Italia parrebbe un paese popolato da cattolici. Se è così, tuttavia, tale quota decresce significativamente dal 2000 di ben 19,1 punti percentuali, quando allora era stimata al 79,2%. Tale travaso, però, più che andare a vantaggio di altri gruppi religiosi, va ad alimentare l’area della non-appartenenza: il 33,4%, contro il 18,8% del 2000. Quindi, la religiosità cattolica coinvolge ancora una larga fetta della società italiana, ma è in progressiva contrazione. Non a vantaggio di altre culture religiose, quanto piuttosto di una sorta di limbo. Un ulteriore riflesso della minore tensione all’appartenenza religiosa è riscontrabile nella frequenza ai riti e alle funzioni religiose. Gli “assidui” (partecipano tutte le domeniche o almeno più volte al mese) sono il 25,6%, in calo di ben 24 punti percentuali rispetto al 2000 (erano il 49,6%). Crescono sia i “saltuari” (partecipano solo ad alcune occasioni o ogni 4-5 mesi: 47,0%, dal 34,9% del 2000), sia chi non frequenta mai (27,4%, era il 15,5% nel 2000).

Così, a una diminuzione del senso di appartenenza, consegue un minor grado di partecipazione ai riti delle comunità religiose. È interessante poi osservare come anche all’interno delle diverse famiglie religiose le due dimensioni (appartenenza e partecipazione) non siano così scontate. Fra i cattolici solo il 39,4% è presente in modo assiduo ai rituali, quota però più cospicua rispetto a quanti appartengono ad altri gruppi religiosi (26,2%). I cattolici, quindi, paiono più fedeli, ma è una (larga) minoranza a partecipare con costanza ai momenti comunitari.

I processi erosivi della trascendenza nella vita quotidiana delle persone si colgono analizzando quanti ritengono di avere una vita spirituale e di credere in un’entità sopranaturale. In entrambi i casi otteniamo che un’ampia minoranza si riconosce nelle due dimensioni: il 45,4% sente di avere propria una vita spirituale, il 40,4% è religioso. Sommando queste due affermazioni, identifichiamo quattro profili di spiritualità e religiosità. Il gruppo prevalente è dei “materialisti” (46,3%) che dichiara di non avere né una vita spirituale, né religiosa, particolarmente presenti fra i 40enni (64,5%) assai più che fra i giovani (fino a 24 anni: 44,5%). Le caratteristiche opposte le troviamo nei “credenti” (34,5%) che sono il secondo gruppo, più diffuso fra gli adulti (oltre 55 anni: 43,4%). Fra questi due insiemi, incontriamo quanti hanno una “spiritualità soggettiva” (11,1%), ma non riconoscono alcuna entità superiore. E, viceversa, chi ha un’appartenenza religiosa ispirata dalle consuetudini: la “religiosità culturale” (8,1%). Va sottolineato come la metà fra i cattolici (51,1%) rientri nel gruppo dei “credenti” e il 29,0% alberghi fra i “materialisti”.

I processi di secolarizzazione proseguono la loro marcia nelle nostre società in modo incontrastato. La perdita di intensità della dimensione del sacro lascia spazio a una crescente materialità individuale e nelle relazioni, come più volte denunciato dallo stesso Papa Francesco. Eppure, il fenomeno dell’eclissi (del sacro) adombra come il lato oscuro nasconda un’altra realtà, che fatichiamo a vedere. In tal senso, il pluralismo religioso e spirituale emerso dalla rilevazione è anche indice di una ricerca a fronte della perdita del tradizionale orizzonte di valori. È una nuova domanda di senso per l’epoca di trasformazioni che stiamo attraversando. Che richiede una grande opera di discernimento.

Daniele Marini

 

Nota metodologica

Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 9 al 16 ottobre 2017 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.561 (su 13.413 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,5%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it