I nordestini, europeisti ma critici


Sondaggi - domenica 27 Novembre, 2016

La maggioranza fra i nordestini guarda ancora con favore l’Unione Europea, ma con un po’ più di disincanto rispetto a qualche anno fa. Nello stesso tempo, aumenta però la platea degli scontenti, di chi manifesta un orientamento anti-europeista. D’altro canto, l’Europa non gode buona salute, e purtroppo non è una novità. Dallo scoppio della crisi del 2008 e la gestione successiva segnata da un’austerity ai limiti del parossismo, passando per la (non) gestione dei flussi migratori, fino alla Brexit, l’Unione non ha dato certamente il meglio sé. La stessa riunione agostana a Ventotene fra i primi ministri di Francia, Germania e Italia, dove si sarebbe dovuto scrivere le “pagine del futuro dell’UE” (Renzi dixit), non ha suggellato passi in avanti. Anzi, da allora le divisioni si sono ulteriormente accentuate e da qualche settimana lo stesso Premier italiano sta lanciando strali verso un’Unione sorda alla flessibilità necessaria per fronteggiare le emergenze umanitarie e una ripresa economica ancora troppo lenta. L’esito di tale aggrovigliamento dell’UE è aver alimentato venti di protesta e populismi, tanto da non rendere implausibile una deflagrazione di quel progetto che ha fin qui garantito pace e sviluppo a un novero sempre più ampio di nazioni. L’uscita dall’Unione sancita con il referendum popolare (per quanto ora in discussione) dalla Gran Bretagna rappresenta l’evento più traumatico e le prove delle prossime elezioni politiche in diversi paesi costituiranno ulteriori banchi di prova per la tenuta di quel disegno.

Nel nostro paese, poi, non mancano esponenti politici e partiti che criticano ferocemente la burocrazia europea, fino ad auspicare un’uscita dall’Unione emulando i britannici o l’abbandono della moneta unica. Dunque, molti fattori sembrano remare contro l’UE e congiurare sulla sua tenuta. Ma fino a che punto la popolazione del Nord Est esprime un sentimento anti-europeista? In che misura si guarda con favore all’uscita dell’Italia dal consesso continentale? La ricerca realizzata (Community Media Research) racconta, però, di un orientamento generale certamente non entusiasta verso l’Europa, con aree non marginali di criticità, ma sicuramente non incline a prospettive di abbandono. Anzi, si chiede al Governo italiano un maggiore e rinnovato impegno nel cambiamento dell’UE volto a un suo rafforzamento.

Abbiamo chiesto ai nordestini in che misura seguirebbero la scia britannica indicendo un referendum popolare volto a stabilire se rimanere o meno nell’Unione. La maggioranza (51,4%) ritiene che su un argomento così spinoso dovrebbero essere i politici eletti a decidere il da farsi, soprattutto fra i trentini e gli alto atesini (87,0%). Mentre poco più un quarto (28,0%) sarebbe dell’avviso che fosse il popolo a decidere, orientamento particolarmente diffuso in Friuli Venezia Giulia (34,4%). Sarà anche quanto è accaduto nel dopo-Brexit e, forse, non rappresenterà un rinnovato feeling verso i politici, ma un simile esito evidenzia una cautela degli interpellati nel decidere “di pancia” verso temi così complessi. E costituisce anche un’attribuzione di responsabilità nei confronti dei propri rappresentanti, di non poco conto. Anche perché comunque l’Unione è vissuta come una conquista, un’istituzione di cui non ci si può sbarazzare con imperizia. Prova ne sia che solo il 14,3% considera l’Europa un ostacolo nel cammino di uscita dalle difficoltà economiche del nostro Paese, in particolare in Friuli Venezia Giulia (22,5%). Per contro, una misura quasi doppia (24,4%, ben il 34,4% in Trentino Alto Adige) la valuta un’opportunità per superare le carenze nostrane. Alla fine la maggioranza fra i nordestini vive l’UE come una necessità (60,4%), che però deve essere ripensata nella sua struttura e negli obiettivi. In definitiva, prevale un orientamento verso l’Unione Europea duplice e complementare. Da un lato, spaventa una larga fetta di popolazione la prospettiva di uscire dall’UE e, soprattutto, abbandonare l’euro per tornare alla vecchia lira. Nel primo caso, il 58,5% degli intervistati ritiene che se l’Italia non facesse parte dell’Unione le difficoltà economiche sarebbero ancora peggiori, attribuendole un ruolo difensivo e propulsivo per il nostro sistema produttivo. Nel secondo caso, il 68,3% considera l’uscita dall’euro foriera di una recrudescenza delle nostre condizioni economiche. Dall’altro lato, è diffusa l’idea che l’Italia si debba impegnare per favorire un mutamento delle politiche e delle prospettive dell’UE, anche negoziando nuove e più flessibili regole. Così, più dei quattro quinti dei nordestini (84,9%) auspicherebbe che il Governo promuovesse un coordinamento tra le politiche economiche delle diverse nazioni, e ciò avrebbe ricadute positive anche sulle nostre performance. Ciò dovrebbe essere accompagnato dall’ottenimento di una maggiore flessibilità sui vincoli finanziari (54,8%), per quanto su questo punto specifico gli intervistati mostrino una maggiore cautela forse memori della nostra tradizionale abilità nell’aggirare le norme. In definitiva, sommando gli orientamenti espressi, confrontandoli con quanto rilevato nel 2014, emerge una tendenziale polarizzazione degli atteggiamenti verso l’UE. Gli “euro-convinti”, quanti considerano deleterio un abbandono dell’Unione e dell’euro, costituiscono quasi i due terzi della popolazione (62,4%), quota in leggero calo rispetto al 2014 (66,3%).  Va osservato che se in Trentino Alto Adige (81,0%, era il 63,7%) e in Friuli Venezia Giulia (72,3%, era il 67,9%) aumenta il parterre dei favorevoli all’UE, è in Veneto dove assistiamo a un calo significativo (57,7%, era il 65,6%). All’opposto, gli “anti-euro” (18,6%), totalmente contrari all’UE, sono una parte minoritaria, ma non marginale, anch’essi in significativo aumento sul 2014 (8,8%), soprattutto fra i veneti (20,6%, era il 7,7%). Ne consegue che gli “euro-flebili” (10,8%, erano 17,8% nel 2014), favorevoli all’Unione, ma con perplessità, diminuiscono di peso, mentre gli “euro-scettici” (8,2%, erano il 7,2% nel 2014), indifferenti o propensi a uscire dall’UE, rimangono stabili.

L’Europa, per quanto acciaccata e mai così frammentata, priva di una visione comune e ingessata nel rivisitare i valori di riferimento, tuttavia costituisce ancora un orizzonte comune per la grande maggioranza degli italiani. Non scalda più i cuori come un tempo, ma sarebbe deleterio privarsene. Anzi, proprio in questi frangenti si chiede alla politica nazionale di farsene carico, di essere motore di un suo cambiamento. E forse non è un caso che gli “euro-convinti” siano i più giovani, gli studenti, i laureati: chi auspica un futuro davanti a sé, un progetto in cui investire.

Daniele Marini

Nota metodologica

Community Media Research ha realizzato l’indagine che si è svolta a livello nazionale dal 18 ottobre al 4 novembre 2016 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.486 (su 12.785 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,5%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it.