Giovani, lavoro, futuro: permangono incertezza e preoccupazione


Osservatori - lunedì 27 Novembre, 2017

Giovani, lavoro e prospettive future costituiscono, per l’Italia in particolare, una sorta di “triangolo-delle-bermuda” sociale. Un’area misteriosa, avvolta dall’incertezza, cui le famiglie e le giovani generazioni guardano con ansia, col timore di precipitare in un vortice pericoloso. I motivi sono noti: nonostante i primi segnali di una ripartenza dell’economia nazionale, il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è attestato attorno al 35%, quando nel resto dell’Europa viaggia mediamente a una misura inferiore della metà (19% circa). L’ingresso sul mercato del lavoro è più spesso costellato da percorsi interrotti, da impieghi saltuari che si ripetono nel tempo – a volte lungo – prima di trovare un approdo più stabile sotto il profilo delle condizioni contrattuali. Questo accade nonostante l’ultima riforma del Jobs Act abbia reso più flessibili le norme, favorendo anche le assunzioni a tempo indeterminato. Certo, non è così per tutti i giovani. Per chi possiede una certificazione professionale o un diploma più immediatamente spendibile sul mercato la strada appare meno tortuosa. Viceversa, quanto più un giovane ha investito nella propria formazione (laurea, master), impiega un tempo più lungo nel trovare un’occupazione (più) stabile (e talvolta remunerata). In particolare nel variegato mondo del terziario e dei servizi, dove i giovani laureati si propongono in misura maggiore, l’abbrivio al lavoro è un percorso particolarmente sconnesso e in salita. Così, complice l’allungamento delle speranze di vita delle persone e dell’età pensionabile, oltre a una maggiore resistenza delle imprese ad assumere, si è generato un effetto imbuto all’ingresso sul mercato del lavoro.

"Jobs" on wooden block and magnifying glass on newspaper background

La Stampa, 27 novembre 2017

L’insieme di questi fenomeni contribuisce a spiegare perché una parte dei giovani ricerca in altri paesi occasioni lavorative migliori (la cosiddetta “fuga dei cervelli”) o, per altro verso, spinge altri a rifuggire occasioni d’impiego, istruzione o formazione (i Neet) ponendosi ai margini del mercato del lavoro. A complicare il quadro, per contro, alcuni profili professionali restano disattesi da parte dei giovani, con imprese che non trovano manodopera disponibile, specializzata, da inserire anche con condizioni economiche vantaggiose. Prende corpo un’asimmetria fra domanda e offerta di lavoro che rende il mercato e le sue prospettive come un ginepraio nel quale è difficile districarsi, dove famiglie, giovani e imprese hanno ciascuno una parte di ragione. Tutto ciò produce, nell’immaginario collettivo un corto circuito. La ricerca di Community Media Research affronta il tema dei giovani, del lavoro e delle loro prospettive con l’intento di analizzare gli orientamenti della popolazione su questi versanti. Nel complesso, emerge un orizzonte venato di pessimismo sulle opportunità che le giovani generazioni potranno avere in futuro, e che nel tempo s’inasprisce. L’85,7% degli italiani prevede che, rispetto ai propri genitori, i giovani occuperanno una posizione sociale ed economica peggiore, quota che cresce di oltre 10 punti percentuali rispetto al 2015 (74,1%). Rimane stabile, e largamente maggioritario, chi ritiene che per fare carriera sia meglio traslocare all’estero (68,5%). Dunque, la popolazione non intravede ancora nel paese segni d’inversione di una tendenza nelle prospettive per i propri figli. Anzi, il sentimento generale sembra volgere più al negativo che migliorare. Ma le responsabilità di un simile scenario sono attribuite alle giovani generazioni o al mercato? Dipende dal fatto che i giovani sono diventati “bamboccioni” e schizzinosi (choosey) o dai comportamenti delle imprese? Solo su un aspetto gli interpellati sono quasi unanimemente d’accordo: le aziende propongono ai giovani perlopiù lavori precari e mal pagati (92,1%). Al di là dei dati oggettivi, esiste un sentimento diffuso e pervasivo con cui il sistema produttivo deve fare i conti ovvero lo scarso investimento che realizza nelle giovani generazioni. Ciò non toglie che ad essi si attribuisca anche una parte della responsabilità come pensare più ai soldi che a imparare un mestiere (60,1%) o rifiutare certi lavori (43,2%), benché una leggera maggioranza ritenga che abbiano voglia di sacrificarsi per un lavoro (54,0%). Sintetizzando, possiamo identificare tre orientamenti principali. Prevale negli italiani un sentimento di “comprensione” (56,7%) verso i giovani: nel complesso, la scarsità di prospettive è attribuita alle condizioni del mercato, più che ai loro comportamenti. Donne, chi si è da poco stabilizzato sul lavoro (25-34enni) e quindi ha appena vissuto l’esperienza, i laureati e i disoccupati rientrano di più in questo gruppo. Non mancano però i “critici” (23,0%) che, per contro, accollano soprattutto ai giovani la responsabilità delle loro difficoltà. È interessante evidenziare come siano proprio i più giovani (fino a 24 anni) a biasimare maggiormente i coetanei, raccontando come tale categoria non sia riassumibile in un’unica definizione. Fra queste due opzioni, troviamo i “bipartisan” (20,3%): in questo caso annoveriamo chi distribuisce equamente le responsabilità sia alle imprese, sia fra i giovani. Va evidenziato come siano soprattutto gli imprenditori a sostenere una simile visione, a metà fra autocritica e valorizzazione dei giovani.

L’insieme di questi aspetti rende la questione giovani, lavoro e prospettive future complicata, comunque la si prenda. L’immaginario collettivo è incupito e va scongiurata la possibile polarizzazione fra inclusione ed esclusione dai mercati del lavoro. Offrire una prospettiva alle giovani generazioni, significa delineare un futuro per il paese mettendo in moto alcune iniziative: rivisitare la didattica dei diversi sistemi formativi, perché così com’è impostata oggi non è funzionale all’apprendimento; costruire un sistema di orientamento scolastico e professionale che accompagni le persone durante le transizioni sul mercato del lavoro e lungo l’intera carriera lavorativa; migliorare e alimentare l’esperienza di alternanza scuola-lavoro, utile a sviluppare un apprendimento esperienziale; chiedere alle associazioni imprenditoriali e dei lavoratori di assumere un ruolo “educativo”, aiutando i propri iscritti a comprendere le trasformazioni del nuovo scenario competitivo. Giovani, lavoro, prospettive future: sarebbe utile potessero essere fra i temi centrali delle discussioni nelle prossime campagne elettorali. Ma il condizionale è d’obbligo.

Daniele Marini

Nota metodologica
Community Media Research realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 9 al 16 ottobre 2017 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Questlab. I rispondenti totali sono stati 1.561 (su 13.413 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,5%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Documento completo su www.agcom.it e www.communitymediaresearch.it