#lastart. Risorse artistiche: asset fondamentale del Made in Italy


Osservatori - giovedì 23 Giugno, 2016

Accade di possedere qualcosa di valore, ma di non rendercene conto. Abbiamo una ricchezza, una fonte di risorse (potenziali), ma non sappiamo utilizzarla in modo fruttuoso. Così avviene per il nostro patrimonio artistico, architettonico e culturale in generale. La quotidianità nell’incrociare palazzi, piazze, siti, monumenti andando al lavoro, piuttosto che passeggiando per i centri delle nostre città, li rende usuali: fanno parte del nostro paesaggio. Ma è quando andiamo in un paese estero che possiamo considerare quanta e qual è l’abbondanza di ricchezze diffuse di cui disponiamo. Oppure quando un sito archeologico è danneggiato dall’incuria nostra o da visitatori maldestri e maleducati. O ancora quando un turista straniero si meraviglia per la quantità di opere presenti. Per un paese come l’Italia che non dispone di materie prime pregiate, la storia ci ha lasciato un insieme di “risorse estetiche” che hanno poche eguali al mondo. E che se fossero ben utilizzate, potrebbero generare (e già oggi lo fanno) una parte significativa del PIL.

Tant’è che l’ultimo rapporto annuale sul sistema produttivo culturale (Fondazione Symbola e Unioncamere) sottolinea come le imprese delle filiere culturali e creative producano 78,6 miliardi di valore aggiunto e contagino gli altri settori dell’economia fino a mobilitare complessivamente il 15,6% del valore aggiunto nazionale (227 miliardi di euro). Le 443.458 imprese del sistema produttivo culturale (il 7,3% delle imprese nazionali) generano il 5,4% della ricchezza prodotta in Italia, pari a 74,9 miliardi di euro. Se includiamo anche le istituzioni pubbliche e le realtà del non profit attive nel settore della cultura, tale cifra raggiunge gli 80 miliardi di euro circa (5,7% della ricchezza nazionale). Insomma, possediamo un giacimento di tesori artistici, storici e culturali che dobbiamo valorizzare in modo sistematico.

Quanto tale patrimonio sia frequentato e in che modo esso possa essere utilizzato al meglio è l’oggetto della rilevazione svolta presso la popolazione. Poco meno della metà degli intervistati si può definire un frequentatore assiduo (45,4%, oltre 4 volte l’anno) di mostre, musei, siti archeologici del nostro paese, mentre una quota analoga manifesta un presenza saltuaria (48,1%, 1-3 volte l’anno). I più assidui a queste attività sono soprattutto le donne, gli studenti e gli adulti (55-64 anni), chi possiede una laurea e risiede nel Centro Italia. Dunque, anche sotto il profilo delle presenze e delle visite non sono pochi gli italiani che dedicano parte del loro tempo libero a gustare le bellezze artistiche, ma sicuramente c’è un’area ancora ampia di persone di cui si può catturare l’interesse.

Che ci sia uno spazio potenziale su cui investire non solo in termini di informazione sulle opportunità di visite, ma anche di consapevolezza della necessità di investire nella conoscenza culturale, è testimoniata dal fatto che i tre quarti degli intervistati ritengano sia giusto pagare un biglietto d’ingresso nei luoghi della cultura (75,6%), mentre per il restante quarto (24,4%) si dovrebbe entrare gratuitamente. Inoltre, per il 47,3% il costo del biglietto è considerato eccessivo, mentre per il 40,2% è adeguato e addirittura per il 12,5% troppo economico. Quindi, la grande maggioranza ritiene necessario pagare per visitare il nostro patrimonio artistico, ma una quota importante calcola tale costo eccessivo. Nel contempo, esiste una minoranza non esigua che valuta i patrimoni culturali del paese un bene indivisibile e che in tal senso dovrebbero essere disponibili gratuitamente per tutti. Appare evidente l’incongruenza fra le attese di una parte non modesta della popolazione e le disponibilità calanti di risorse pubbliche che rende inattuabile la possibilità di fruire di luoghi culturali liberamente, poiché presentano un costo di manutenzione, oltre che di gestione, elevato. Dunque, servono risorse economiche per conservare e far fruttare i nostri beni.

In questo senso, negli anni è avanzata – in verità con non poche difficoltà – la riflessione circa un’apertura ai privati nella gestione del patrimonio artistico e culturale dell’Italia. È sufficiente ricordare le polemiche e le difficoltà burocratiche che si materializzano quando qualche imprenditore intende intervenire nel restauro di un monumento o s’ipotizza la sua presenza nella gestione di un museo. A fronte di un quinto (19,0%) che vorrebbe lo Stato come amministratore esclusivo, per converso e in misura diversa, si è fatta strada l’ipotesi di una compartecipazione dei privati finalizzata a valorizzare e a dare una gestione più manageriale alle nostre “risorse estetiche”. La parte prevalente (47,5%) intravede ancora lo Stato quale responsabile principale assieme al privato, mentre un’apertura maggiore alle imprese vede schierati complessivamente il 33,5% degli interpellati. Insomma, l’80,7% considera auspicabile un’apertura, mentre il 19,7% valuta tale opportunità deprecabile.

L’ambito culturale e artistico costituisce una risorsa latente ancora da esplorare e da mettere a frutto in modo strategico. A fianco del sistema produttivo materiale, le “risorse estetiche” e immateriali sono un asset fondamentale del Made in Italy, che già oggi producono una ricchezza sottovalutata. La loro contaminazione rappresenta un vero e proprio acceleratore economico e fa capire che, organizzandola bene, con la cultura si mangia.

La Stampa p. 37, 22 marzo 2016

Daniele Marini

Nota metodologica

Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo per La Stampa, realizza l’Indagine LaST (Laboratorio sulla Società e il Territorio) che si è svolta a livello nazionale dal 25 novembre al 7 dicembre 2015 su un campione rappresentativo della popolazione residente in Italia, con età superiore ai 18 anni. Gli aspetti metodologici e la rilevazione sono stati curati dalla società Quantitas. I rispondenti totali sono stati 1.378 (su 12.981 contatti). L’analisi dei dati è stata riproporzionata sulla base del genere, del territorio, delle classi d’età, della condizione professionale e del titolo di studio. Il margine di errore è pari a +/-2,6%. La rilevazione è avvenuta con una visual survey attraverso i principali social network e con un campione casuale raggiungibile con i sistemi CAWI e CATI. Il documento completo è visitabile presso www.communitymediaresearch.it e www.agcom.it